Gli dei cercavano Loki, per vendicare la morte di Balder.

Perciò egli lasciò Asgard e costruì un palazzo con quattro porte, in corrispondenza dei quattro punti cardinali, così da poter vedere in tutte le direzioni semmai arrivassero gli Asi.

Quando usciva travisava le sue forme.

In casa trascorreva il suo tempo costruendo congegni e pensando che, se avesse insegnato agli uomini il modo di servirsene, questi lo avrebbero onorato più di ogni altro dio, Odino compreso.

Tra questi congegni il suo preferito era la rete da pesca. Trascorreva intere giornate ad intrecciare reti.

Un giorno, mentre era intento in questa attività, vide che si avvicinavano gli Asi.

Gettò la rete nel fuoco e saltò nel fiume vicino in forma di salmone.

Gli dei entrarono nel castello, ma non vi trovarono Loki. Videro però nel focolare le ceneri della rete ancora perfettamente riconoscibili e da esse impararono.

Intrecciarono quindi una grande rete e la gettarono in acqua.

 

Anansi voleva diventare il re di tutte le storie.

Avrete sentito raccontare spesso la storia di come Anansi voleva diventare il re di tutte le storie. Anansi voleva sempre qualcosa.

Dunque Anansi va da suo padre Nyame, il dio del cielo, il signore degli dei e gli chiede di diventare il signore delle storie.

Nyame non rifiuta, ma fa presente ad Anansi che la cosa non è così facile, che un simile onore va guadagnato, non basta star stesi sotto a un banano per diventare il re delle storie.

Sottopone Anansi a una serie di prove.

Incarica il ragno di catturare il felino, il predatore più forte, Leone, Pantera, Leopardo. Scegliete voi.

Anansi va dal felino e inizia a prenderlo in giro e a sfidarlo, ma non lo fa direttamente, sapete com'è il ragno, non sai mai di che sta parlando.

Il felino, dal canto suo, gli gira intorno intenzionato a mangiarlo, ma è circospetto perché sa che non ci si può fidare di Anansi. Alla fine di questo tira e molla il felino è legato. Nessuno sa come Anansi ci sia riuscito. O meglio, tutti lo sanno ma nessuno racconta la storia allo stesso modo. Ci sono molte versioni di questa storia poiché tutte le storie sono di Anansi, però, nessuno sa se una di queste è vera. Una delle più ricorrenti è quella in cui Anansi tesse una tela come quella che usò contro SaggioRagno, ma è improbabile. SaggioRagno era abile e vecchio. Il felino non era così sveglio, difficilmente Anansi ebbe bisogno di un mezzo così raffinato.

Insomma Anansi porta il felino dal padre.

Allora Nyame obietta che non basta e che Anansi doveva catturare anche la vespa che punge come il fuoco.

Ora il felino è pericoloso, ma il piccolo ragno ha buon gioco ad eluderlo. La vespa che punge come il fuoco invece è un altro paio di maniche. È piccola come il ragno e molto feroce. E i ragni sono il suo piatto preferito.

Anansi non si presentò col suo vero nome ma finse di essere la pioggia. E quando la vespa cercò di fuggire spaventata dalla pioggia che l'avrebbe uccisa bagnandole le ali le consigliò di entrare in una  calabash per ripararsi, poi tappò l'imboccatura e portò la calabash al padre.

- Diventare il signore delle storie richiede qualcosa di più, figliolo. - disse Nyame.

- Non è facile catturare il leone e la vespa ma ciò che nessuno ha mai fatto e vale davvero il nome di signore delle storie è prendere la Fata che nessuno ha mai visto. -

Anansi va fiero della sua capacità di ingannare gli altri animali, ma a questo punto pensò che il padre lo stesse ingannando.

È pur vero che leone e vespa erano molto più pericolosi, ma la fata che nessuno ha mai visto è impossibile da prendere, proprio perché non può essere vista.

Anansi andò in giro per il mondo alla ricerca della fata ed ovviamente non la trovò. Ma di notte, passando per un preciso punto della foresta, ebbe degli incidenti. Nulla di serio, perché la fata non è davvero pericolosa, anche se è irresponsabile.

Una volta gli si strappò un sandalo appena fatto. Un'altra si rovesciò una calabash ben tappata, insomma incidenti come questi.

Quindi Anansi tornò di giorno nello stesso luogo e costruì un pupazzo di pece.

Quando la fata, scesa la notte, trovò il pupazzo di pece sul suo cammino provò a giocargli un tiro e rimase con una mano invischiata nella pece. Poi vi rimase incastrato il piede che appoggiò sul pupazzo per far forza così da liberare la mano e così via fino a quando quasi tutta la fata rimase incollata alla pece.

A quel punto Anansi raccolse su fata e pupazzo e li portò davanti al padre che a malincuore, perché tutti vorrebbero essere i re delle storie e non è facile riconoscere a qualcuno questo titolo, soddisfece il desiderio di Anansi.

È così che Anansi divenne re delle storie.

 

Appena nato, il giovane Ermes uscì dalla grotta in cui sua madre Maya, figlia di Atlante, l'aveva partorito.

Vide una tartaruga, la uccise, ne svuotò il carapace, lo traforò. Vi infisse degli steli di canna e due bracci di legno finemente intagliati, vi stese sette corde di minuglia di pecora e cominciò a cantare gli amori di Zeus e Maia.

Il fratello Apollo, che si trovò a passare di li, ascoltò quella strana invenzione e ne rimase affascinato, poiché Ermes è il dio degli incanti, e pretese di averla.

Ermes, il cui interesse per la poesia stava già scemando, barattò la cetra e la capacità di usarla per 50 vacche della mandria di Apollo, le più belle che possano esistere, una bacchetta d'oro dai poteri mirabolanti e le profezie, ora vere ora ingannevole, delle vergini api, più adatte al briccone di quanto non lo siano mai state alla voce del dio suo fratello.

 

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n. 30

 

la giostra dei burloni

 

continua

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Un regno oscuro, appena dietro il sottile velo che lo separa dalla realtà di tutti i giorni.

Il grumo di viticci fumanti si agita sul terreno per un tempo considerevole. Terreno che si forma o per lo meno appare solo sotto di lui, man mano che rotola.

Qui tutto è oscurità e servono sensi ben oltre la vista per percepire ogni cosa, ma anche con essi c'è terreno solo sotto la creatura, come se fosse un'increspatura nell'oscurità.

Seduto su un trono di buio, massiccio e spartano, un colosso di buio tiene lo sguardo della testa bulbosa sulla creatura. I tentacoli che ha al posto della bocca fremono di impazienza ma il resto è immobile in attesa. Un'attesa vigile per capire se la creatura è un pericolo o un balocco.

Qui il tempo non esiste, per lo meno non scorre nella direzione in cui siamo abituati a vederlo scorrere, quindi è inutile misurarlo con i nostri metri.

Basti dire che a un certo punto la massa informe inizia a riaggregarsi nella figura di un demone antropomorfo sottile e slanciato con lunghe dita che sembrano quasi lame, la bocca irta di zanne, la pelle come quella di una mummia. Indossa solo alcuni monili e un gonnellino che potrebbero anche sembrare, ad un'osservazione superficiale, egizi.

*Nyarlathotep. A cosa devo il “piacere” della tua visita. Porti messaggi tuoi o dei tuoi signori?*

Non è una voce, neppure mentale. È quasi come se l'oscurità si increspasse producendo senso. Ed è un senso che genera disperazione anche in una creatura come il dio esterno.

Ma il dio sa gestire la disperazione ed il senso di annientamento. Sono parte della materia del suo potere. Quasi se ne rafforza e il suo aspetto lo rispecchia. Ora è semplicemente un'ombra più scura nell'oscurità.

Anche la sua "voce" non è fatta per orecchie umane ma tanto lì di orecchie umane non c'è neppure il concetto.

- Stavo rafforzando la struttura portante dell'universo tasca che avevo costruito nel tuo regno col tuo permesso quando ho percepito un cambiamento nella sostanza stessa dell'ombra. Come ho capito in seguito, il tuo reame era stato diminuito di un intero grado di infinito quando Kali è tornata in possesso del suo dominio[i] e il mio universo si è trovato a far parte proprio di quel grado di infinito.

La cosa non mi sorprende, ma un avvertimento sarebbe stato gradito.

Dopo questo evento ho percepito ripetute sonde che testavano i confini del mio universo, ma nessun tentativo di penetrare.[ii]

A quel punto era abbastanza evidente che dovevo scegliere rapidamente tra due opzioni. Traslare l'intero universo in un'altra posizione, cosa che, malgrado la tasca spaziotemporale fosse estremamente piccola, avrebbe richiesto un impiego considerevole di potere ritardando i miei piani oppure abbandonare l'intera tasca ad un rapido collasso ricominciando da un'altra parte. Il tempo che mi avrebbe fatto risparmiare questa opzione l'avrei perso nell'assicurarmi di aver svuotato dei suoi abitanti quello spaziotempo, non tanto dei miei servi, del cui destino poco mi importa, quanto la prole di Shub-Niggurath che avevo reclutato come guardiani e del cui abbandono non volevo rispondere alla dea, poiché il conflitto che ne sarebbe seguito, per quanto secondario, sarebbe stato anche più fastidioso.

Mentre soppesavo i pro e i contro alcuni dei del piano mortale sono penetrati nel mio dominio e vi hanno portato la distruzione[iii].

Potevo approfittarne per andarmene, eliminando nel collasso del cosmo fittizio da me creato, alcuni fastidiosi insetti.

Ma erano tre greci, la signora della conoscenza, il sommo artigiano e il signore dell'ebrezza ispiratrice; un'egizia dea del piacere, portatrice della volontà paterna e soprattutto l'asgardiano protettore degli uomini, il signore delle tempeste il cui padre mi ha cacciato da uno dei regni elfici inferiori[iv] in maniera piuttosto scortese (tenuto conto che comunque si trovava a passar lì per caso). Capisco ora che il loro gruppo era stato selezionato proprio per irritarmi ed assicurarsi che li avrei affrontati. Chiunque li abbia reclutati andrebbe osservato con maggiore attenzione. In ogni caso stavo vincendo quando il mortale messaggero di Kali è intervenuto dando al tonante il secondo di vantaggio necessario per colpirmi. È stato un colpo duro ma tutt'altro che risolutivo. È bastato, però, per ridarmi la lucidità necessaria e me ne sono andato in tutta fretta. La battaglia per difendere un territorio che dovevo comunque abbandonare non valeva lo sforzo.

Così sono saltato via, seppur costretto ad abbandonare una forma che altre volte ho ritenuto molto utile.

Non so che ne è stato dei miei aggressori. Non credo che il mio universo sia durato molti istanti dopo la mia fuga ma temo che siano riusciti a salvarsi. Sono però, almeno per il momento, al di la della mia percezione. -

*È appena apparso un individuo nel regno di Kali, solo. Gli altri li ha persi, ma non sono in grado di stabilire quando. Avete perturbato l'intera realtà. Ci sono fratture che si vanno rapidamente chiudendo. Qualcuno dovrebbe sfruttarle per entrare.*

- La gara è aperta. Oppure preferisci passare questa volta? -

*Il tempo lo dirà.*

 

Un regno magico inferiore. Il bosco in cui ci si guarda dal lupo.

Cappello di paglia giallo intenso, come i guanti, una camicia a scacchi bianca e viola e pantaloni verdi, un ometto piccolo e con la pelle nera come il carbone cammina baldanzoso.

Il bosco è pericoloso, condannato dalla stessa natura dei luoghi un lupo famelico sta in agguato pronto a mettere alla prova coraggio e assennatezza di chi vi si avventura.

Memore di altri incontri, probabilmente, la belva rimane nascosta e il piccolo buffo uomo attraversa quel regno ridacchiando e canticchiando.

Gli dei adorano usare questi regni per passare da un mondo all'altro poiché poco vi è in essi che può danneggiarli e molto in grado di divertirli.

A causa del suo contesto questo mondo è contiguo ad un altro, di gran lunga più pericoloso e oscuro.

La dimora di Loki, il forgiatore d'inganni è un luogo quasi inaccessibile. Poiché nei regni magici spesso forma e sostanza si compenetrano in maniera quasi totale basterà descrivere come appare.

Dal bordo del gran mare di stelle sporge una rupe galleggiante, connessa con l'Asaheimr da uno stretto ponte di roccia sferzato dal vento.

La dimora era più accessibile un tempo ed è costata molta fatica a giganti e nani renderla ciò che è ora, dopo che il suo signore ha preteso maggior sicurezza a seguito della sua recente cattività[v].

Patti e costi di una simile opera funesteranno il signore delle malie e, più probabilmente, dei e elfi per gli anni a venire, ma come ama spesso ripetere: la prima cosa che impara uno stregone degno di questo nome è sopravvivere.

Anansi il ragno compare all'inizio del ponte. Fare altrimenti sarebbe difficile, scortese e scoprirebbe eventuali vantaggi e un trickster che si rispetti non scopre mai inutilmente le sue carte (se non per smargiassate, ma non è questo il caso, evidentemente).

Si avvia sul ponte con passo convincentemente incerto, assicurandosi con una mano che il vento gelido e sferzante non gli strappi il cappello di paglia dalla testa.

Arrivato davanti al portone, batte il colossale batacchio che, appena tre passi prima non era visibile e che, è pronto a scommetterci, non c'era neppure e non si sorprende affatto quando ancor prima che il rimbombo sia cessato si ritrova in una colossale sala con un caminetto spento.

Infatti ora è un nero alto e segaligno con un piccolo perizoma stracciato e a piedi nudi.

Raccoglie qualche stecchetto mezzo bruciacchiato tra la cenere vecchia, qualche carbone non del tutto consumato e li ordina nel focolare. Poi vi sputa sopra e fiamme violente avvampano nel camino.

Si volta sfregandosi le mani. - Vivi in un paese ben rigido, figlio di Laufey.  Mi sorprende che non tenga sempre dei grandi fuochi nella tua casa. -

Il suo ospite abbozza un involontario mezzo sorriso - Diciamo che sono riscaldato da un fuoco interiore e non mi preoccupo molto di ospiti incapaci di una magia semplice come accendere un focherello. Immagino che tu sia qui per altro che rassettare casa mia e che in realtà sarai molto impegnato e non veda l'ora di andartene. Quindi saltiamo i convenevoli. -

- Bella battuta, dio con la rete. I convenevoli sono parte integrante della nostra natura e qualcuno più sospettoso di me dubiterebbe di questo invito. Ma su una cosa hai ragione. Ho fretta. Creature con molto meno senso dell'umorismo di noi stanno cercando di entrare nel nostro mondo. Non è un mondo perfetto ma è il nostro campo da giochi e francamente io trovo ancora molto divertenti parecchi dei suoi aspetti. Non credo che vederlo spoglio e infestato da spettri, vampiri o anime in pena ed incubi disperanti ancor più di quanto non lo sia già ora lo renderebbe migliore. O più interessanti le sue storie.

Tuo fratello, assieme a alcuni dei francamente più svegli di lui e da cui sono, quindi, maggiormente deluso, ha da poco bloccato i piani del messaggero di Azathoth. Di certo sei più informato di me delle mosse di tuo fratello.

Il loro approccio, francamente un po' grezzo, ha conseguito risultati, ma tenendo poco conto delle conseguenze. Sarebbe molto utile se divinità maggiormente abituate ad un approccio sottile cercassero almeno in parte di ricucire gli strappi che sono rimasti aperti nella realtà e su cui già mi immagino di vedere avventarsi un gran numero di entità esterne. Pensaci. Non c'è bisogno che mi rispondi ora. Ma se ci rifletti ti accorgerai che c'è un solo piano possibile. -

Detto questo il ragno si avvia verso l'uscita così da tessere un'altra parte della sua tela in altri luoghi.

 

Una strada fra i mondi

Gli specchi sono porte, si percorrono stretti sentieri, a volte pericolosi, ma per chi sa attraversarli queste strade costituiscono scorciatoie tra luoghi infinitamente distanti.

Per chi non può attraversare gli specchi c'è una sola possibilità di gettare un'occhiata a questo mondo. Attraverso le versioni distorte che alcuni pittori hanno dato dell'Arcadia prendendole dai propri sogni.

Mandrie delle vacche di Apollo (che di Apollo non sono più da tempo, visto che le ha barattate contro uno strumento musicale, ma è una lunga storia e conosciuta e qui non abbiamo il tempo di raccontarla nuovamente) pascolano fra gli alberi.

Il ragno nero come la notte che si aggira sugli alberi non è interessato alle vacche né alle mosche che non volano loro attorno. Gli insetti sono esseri troppo alieni per trovar posto in questo mondo.

Altrettanto alieni sarebbero gli aracnidi, è infatti insolita la presenza del ragno e lui non può fare a meno di notarlo.

Non è l'unico a notarlo. Se il movimento fosse stato prodotto nel mondo materiale lo spostamento d'aria avrebbe provocato un ciclone. Qui neppure un venticello lieve. Ma dove prima c'era il vuoto ora c'è un giovane esile. Altro, bellissimo. In testa un casco metallico alato. Seminudo, ai piedi due sandali alati ed in mano un bastone, alato anche esso attorno al quale sono attorcigliati due serpenti. Vivi.

- Sei lontano da casa, ragnetto. Hai visto qualcosa che ti interessa? -

- Molte cose, in effetti, comprese le mandrie di tuo fratello. Ma non sono qui per collezionare ninnoli.

Dobbiamo completare il lavoro lasciato in sospeso dai tuoi parenti nel regno di Nyarlathotep o l'intero nostro mondo con tutti i suoi livelli diventerà molto meno accogliente. Che io sia riuscito a entrare nella forma di artropode nel paradiso delle tue mandrie è una prova piuttosto evidente.

Il danno è già fatto. -

- Disse il signore delle storie cercando di incantare un suo pari. -

- Hai scambiato uno stelo di sambuco bucato con uno degli attrezzi più potenti di ogni pantheon. Non devo convincerti. Sei in grado di sapere da solo ciò che succede e come fronteggiarlo. -

Sorride e svanisce. Il sorriso per ultimo.

 

In riva a un lago nella Foresta Nera, non lontano da Baden, in Germania.

L'uomo alto e segaligno, dal corti capelli neri indossa pantaloni, camicia e stivali con sopra un lungo cappotto. La camicia è chiusa sul collo da una cravatta dal nodo allargato. Il cappotto attillato e i pantaloni sono verdi.

C'è un'espressione furba sul suo volto mentre raccoglie 15 sassolini, tutti più o meno uguali per dimensione e li chiude in un fazzoletto di stoffa che immerge in acqua.

Dopo averlo agitato sotto la superficie per un po' di tempo apre il fazzoletto bagnato e conta i 14 sassolini.

La sua espressione si ricompone ed intona quasi un canto, mentre parla la sua voce si fa suadente e musicale.

- Omino del lago che hai preso una mia proprietà, ti considero in debito con me e mi riserverò di chiamarti al servizio quando ne avrò bisogno. -

Con una capriola una piccola creatura, del tutto umana all'apparenza, non fosse per la piccola statura esce dal lago perfettamente asciutta nel corpo e nei vestiti ed intona una nenia sullo stesso tono:

- Chi cerca di mercanteggiare un favore per un sasso? Chi vuol ingannare l'omino del la... hyps -

Il folletto esita, la sua vista, più profonda di quanto vista umana a potrà mai essere, ha scrutato dietro il travestimento del dio e l'ha riconosciuto. Non può giocare questo gioco d'inganni, non ne ha la freddezza e sa di essere in trappola. Sarà fortunato a tornare alla sua casa in fondo al lago, alla fine di questa avventura, vivo ed integro.

Ma ormai l'errore è fatto e deve tirarsi fuori d'impaccio.

- Perdonate, Signore, non avevo capito che fosse vostro. Permettete di restituire il sasso che mi è inavvertitamente caduto in tasca. -

- Rinunciare ad un favore dal popolo delle acque in cambio di un sasso raccolto per terra? Neppure un dio solare accetterebbe un patto del genere, non trovi piccolo imbroglione? Penso che se vorrai ridarmi quel sasso dovrai servirmi almeno per un anno in ogni mio capriccio. Ho giusto da portare un messaggio a uno dei signori dei reami della disperazione e non ho alcuna intenzione di entrarvi di persona. Che ne dici, cominciamo da questo insignificante servizio? -

- Preferirei – l'omino trema – liberarmi dall'impegno prima di cena. Ci sarà certamente un servizio più breve col quale darvi soddisfazione.  -

- In effetti posso anche cercare un messaggero in un altro luogo. Avrei bisogno di una moneta d'oro del tuo popolo. Puoi scendere sul fondo del lago e portarmela. Oppure consegnare questo biglietto a  Colui che si annida nell'oscurità e tornare da me per un altro incarico. A te la decisione, io ti aspetterò sulla riva del lago per circa un'ora. -

 

Gli inferi di qualcuno.

Un istante prima non c'era.

È uno dei pochi che può penetrare nei regni inferi senza chiedere permesso poiché nessun luogo è escluso dal potere di Ermes.

Non è al sicuro. Qui nessuno è al sicuro.

Ma pochi dei piccoli demoni che incontra sul suo cammino osano attraversare la strada di un simile dio nel pieno del suo potere.

Molti non possono neppure sopportare la sua presenza.

Che non incontri quelli più potenti, invece, è un segnale chiaro. È atteso.

Anche lei un attimo prima non c'era.

Con un vestito a metà fra un sogno sadomaso e le trine di un fantasma. Una cintura di teschi infranti e catene. Capelli nero violacei ed il volto bianco e bellissimo, che tutti amerebbero disperandosi.

- Cerchi qualcosa nel mio regno, giovane ladro? - la sua voce è come il lamento di mille anime e nessun mortale in vita potrebbe ascoltarla impunemente.

Ma il signore degli incanti non è così facile da impressionare e nessun luogo gli è precluso.

- Cerco te, signora degli inferi che ti sei rifugiata nel regno che era della tua gemella.

Ti cerco per un favore e un'alleanza che contempla la possibilità di tornare a indossare la corona di stelle e la stella a 8 punte e a chiamarti ancora signora splendente, lontana da questo regno che ti diminuisce. -

- Riprendermi la corona di stelle... non è più davvero mia. Ho regnato nel cielo per troppo tempo, giovane dio. Non puoi ancora capire cosa significa perdere i propri fedeli così tante volte. Veder crollare i templi dove era conservato un poco di te. E non intendo mettermi contro il signore della disperazione, mentre l'araldo di Azathoth, che conserva addormentato il suo signore ed integro il cosmo, non costituisce per me un pericolo, poiché desidera solo la follia degli uomini e non le loro anime. Non ho motivi di confliggere con loro né di allearmi con te. Scappa nella tua comoda casetta nel cielo. Non sono avversari per te, piccolo. E non fidarti del ragno. Era vecchio ed infido quando ancora giocavo nel giardino di mio padre e l'età non l'ha migliorato. Ora va, credi che io non possa fermarti e invece non desidero provarci. Ci rivedremo presto. -

 

Tipitina Club, New Orleans

Jericho Drumm è seduto al suo solito tavolo nel club di sua nipote. Non è qui per le attrazioni del club, è superiore a tali bassezze. Ma le sue molte incombenze come signore del voodoo richiedono anche una vita pubblica, raccogliere informazioni e fornire un luogo dove le informazioni possano trovarlo.

Qui può farlo senza avere uno studio da ciarlatano e una reputazione da dover difendere.

Si allunga sul comodo divanetto e sorseggia il cocktail analcolico che si è fatto portare.

Quando sei uno stregone voodoo devi stare attento all'alcol, poiché esso lascia un odore che Papa Guede tende a seguire e nessuno vorrebbe trovarsi ad impersonare, se non necessario, Papa Guede o Baron Samedì. Quindi niente alcol se non serve. È dura la vita di un mago.

Il bicchiere non c'è e la cannuccia pesca a vuoto.

Sul divanetto accanto un azzimato vecchietto, elegante nel suo completo viola e verde, con vistosissimi guanti gialli e un cappello con una piuma lunghissima, sta aggiungendo una generosa razione di liquido ambrato da una fiaschetta, una zucca, sembrerebbe.

Poi beve un lungo sorso e schiocca le labbra.

- Decisamente meglio. Dovresti prestare più attenzione a ciò che bevi, figliolo. Non vivrai per sempre e rimpiangerai ogni privazione una volta dall'altra parte. Fattelo dire da uno che lo sa. Sono morto parecchie volte e non ho mai resistito molto in quella condizione. -

- Come sei entrato? - Si lascia sfuggire Fratello Voodoo un istante prima di sentirsi stupido per questa ammissione di debolezza. Nessuno sembra notare lo strano ometto stravaccato contro lo schienale che beve a lunghi sorsi dal bicchiere. Sorsi un po' troppo lunghi, a dire il vero, visto il bicchiere.

- Concentrati, Jericho, è entrato ben più a fondo di quanto credi. E con una certa facilità, devo ammettere. -

Sul divanetto dall'altra parte un giovane e sorridente Daniel Drumm alza il bicchiere per salutare il fratello.

- Non essere troppo duro con tuo fratello, Danny, i fratelli sono importanti ed in fondo lui contava sulla tua sorveglianza, che è più che sufficiente con i giovani dei privi di sottigliezza con cui trattate quotidianamente. Ma io ero vecchio quando loro ancora non accennavano a venire al mondo e qualche trucchetto l'ho imparato. -

Jericho testa con estrema calma i limiti che gli sono imposti, prigioniero nel suo stesso sogno con una creatura sconosciuta che sostiene di essere un dio.

Niente, può apparentemente muoversi liberamente, nessuno ha atteggiamenti minacciosi e forse anche suo fratello è davvero suo fratello.

Di certo gli strizza l'occhio nel momento stesso in cui lo pensa.

- Non sono abituato ad essere preso di sorpresa, lo ammetto. Ma inutile fare recriminazioni ora. Chi sei e cosa vuoi? -

- Bambino, ti vanti di essere un grande mago e stai parlando con me da tutto questo tempo senza riconoscermi? Eppure dovresti aver sentito parlare di me, tutte le storie sono mie. -

- E che vuole il ragno da me? - improvvisamente Fratello Voodoo diventa guardingo e malgrado il fratello sorridente dall'altra parte del tavolo continui a rassicurarlo, cerca di riportare alla mente tutto ciò che sa sugli intrighi del piccolo ragno nero che giocava scherzi agli dei ancor prima che il primo uomo nascesse sulle rive del lago Vittoria.

Nulla di rassicurante.

- Un ninnolo che hai contribuito a forgiare mesi fa, durante la guerra su Asgard. Un guinzaglio. -

- Non l'ho io e di certo non è qui nel mio sogno. -

- Bambino, vi ho insegnato io tutto ciò che sapete e vuoi ingannarmi? Il guinzaglio è sul tavolo. Non devi che svegliarti. -

Ed in effetti sul tavolino in mezzo ai tre c'è il guinzaglio con il quale avevano incatenato gli Esemplari per portarli alla guerra.

L'ometto nero come la notte beve un lungo sorso direttamente dalla fiaschetta e la passa a Daniel.

Jericho sente qualcuno che lo scuote. - Zio? È il caso che sali in camera. -

Jericho si guarda attorno, non c'è nessuno seduto sul divanetto e non c'è nulla sul tavolino. Anche se per un attimo ha l'impressione di vedere il fratello riflesso sulla superficie a specchio strizzargli l'occhio.

 

Montagne vicino Hamelin, Bassa Sassonia, Germania

Sono passati più di sette secoli eppure la magia è ancora forte. Chi ha aperto questa porta e poi l'ha richiusa era davvero potente. Ma non eccessivamente abile.

Non è del tutto vero, in realtà. Trattandosi di un'ombra è chiaro che, per quanto tessuto bene sia l'incantesimo, Loki può trovarne i punti deboli.

È l'ombra del suo stesso potere riecheggiato tra i mondi.

Infatti Loki individua in fretta un filo pendente e con un rapido gesto è dall'altra parte.

Sotto di lui una valle luminosa e verde, immersa in una primavera che sembra eterna.

Si avvia a piedi. Un ingannatore che vuol essere visto è più pericoloso di un ingannatore che si nasconde. Lui lo sa, ma di che pasta è fatta l'ombra che abita questo mondo è un mistero.

- Intruso!- la voce giunge da ovunque. Loki non si guarda neppure intorno e continua per la sua strada. - Ti sei perso. Stai entrando in una zona pericolosa! - Loki ignora completamente la voce.

Dalla parete esce un volto come di demone o fantasma – SMAMMA-

Il volto del dio degli inganni perde il suo ghigno sarcastico per tornare serio – Deludente, davvero deludente. -

accanto è appena apparso, ma forse c'è sempre stato, un uomo strano, alto e dinoccolato, dallo sguardo sfuggente, che indossa una giacca fatta di panni di vari colori.

- Come convincerti che non c’è ragione per te di restare qui? Posso almeno sapere perché ci sei venuto? -

- Un po' per curiosità, un po' per cercare un oggetto che può essermi utile e che impiegherei giorni a costruire. Il solito, potremmo dire. Sai di cosa sto parlando, spero. Non sono certo qui per riprendere bambini che hai rapito più di 700 anni fa. Per quello che mi riguarda stanno meglio con te che nelle mani dei loro genitori che li avrebbero resi mercanti aridi e senza fantasia come loro. -

- È un peccato che tu li abbia nominati. Poiché non posso davvero rischiare che tu li riporti indietro. L'ho promesso. -

L'uomo è ora vestito da cacciatore, ha un volto terribile e uno strano cappello rosso a due punte, quasi fosse una fiamma.

In mano stringe un flauto di legno, nocciolo con molta probabilità.

Fa per suonarlo ma non lo impugna più.

Su un masso poco lontano Loki sorride. L'illusione in piedi svanisce.

- Un bell'oggetto, all'altezza della sua fama. E sbagliavo. Mi sarebbero occorse settimane per farne uno simile. Viene da chiedersi come tu ci sia riuscito.

Ma sei in grado di farne un altro e forse anche di riprenderti questo, quando non mi servirà più.

Peccato che come ombra sei più deludente di un Vätte. Fregato perché doveva mantenere la parola. - detto ciò l'ingannatore svanisce.

 

Un mistico regno d'ombra e nebbia

Nel vuoto di queste lande c'è un grosso cristallo di mistica ambra.

Al suo interno un colosso dalle ali d'uccello e la testa leonina.

Immobile da chissà quanto tempo[vi].

C'è come una folata di vento. Le nebbie turbinano e improvvisamente Ermes è davanti al monolite. In piedi. Lo osserva a lungo.

C'è un destino e un pericolo rinchiuso in quell'ambra.

*Intendi fissarmi a lungo, piccolo dio?*

*No. Non... Sei cosciente. Certo che sei cosciente. Non ero certo venuto per parlare con un monolite.*

*Quindi sei qui per parlare? Che vuoi da Ningal, un tempo dio della forgia e dei metalli e ora piccolo demone, servo del buio e prigioniero cosciente ma impotente?*

*Vorrei capire e proporti un patto. Capire come è possibile che tu possa portare il nome della madre di Inanna e malgrado ciò riesca a far credere a iniziati di grande potere che sei stato un dio. Ed un patto. Aiuto contro il tuo vecchio padrone in cambio della libertà da questo cristallo.*

*Non so di cosa parli. Io ero Ningal dio della forgia, relegato al ruolo di demone dall'abbandono da parte dei miei fedeli, che hanno preferito dei più giovani. La mia fedeltà o meno all'abitatore del buoi e ogni mia azione da demone, nel tentativo di tornare al mio pieno potere, potrai capirlo solo quando inizierai a perdere i tuoi. Non accetto patti contro di lui poiché so che può cancellarmi con un pensiero e non desidero la libertà a queste condizioni.*

*Sono Ermes, messaggero e dio dei maghi. Il mio potere non viene che da me stesso. Non essendomi affidato ad altri per mantenerlo non posso perderlo. Che tu possa aver fondato troppo del tuo essere sul fatto di avere degli adoratori ti ha reso debole. Me ne dispiaccio per te. Ma ti ha reso anche pavido e questo è un destino un po' peggiore.*

La nebbia immobile viene agitata per un'ultima volta e nessuno resta a fissare il monolite di ambra.

 

Il regno oscuro

Il dio non si annuncia. Appare. Un trickster che si annuncia sta tessendo un inganno. Lo sanno tutti.

Loki trema dentro di se, per il luogo in cui si trova e per il suo interlocutore.

L'araldo di Azathoth, il demente dio al centro del creato, il cui sonno garantisce la persistenza del mondo.

La creatura, che nella profonda oscurità del regno oscuro appare solo come un'ombra più scura, ha come unico scopo quello di provocare la follia in ogni mente del multiverso.

Come non temerlo?

Eppure cedere per un solo istante alla paura fornirebbe a quell'essere la sola presa di cui ha bisogno per vincere la battaglia prima di iniziarla.

Essere venuti al suo cospetto è un vantaggio innegabile.

*Come ho fatto a farmi coinvolgere?* Sarebbe il primo pensiero di qualcuno meno preparato. Un buon trickster, come ogni buon mago, sa bene che certe cose sono inevitabili. Garantirsi il gioco significa preservare il campo da gioco dai parassiti.

In realtà è qui perché il gioco è più importante di ogni cosa. È il burlone, l'ingannatore, colui che infrange le regole e i limiti. Non può che giocare solo.

- Che fai qui, piccolo dio, fiamma dal gelo? Vuoi combattere da solo la battaglia che il tuo sciocco fratello ha perso assieme a compagni più potenti di lui? -

- Me ne guardo bene, Nyarlathotep. So che potresti soffiarmi via come si spegne una candela.

Ma il tuo conflitto con mio fratello non è stato vittorioso. Non l'hai distrutto, al massimo scacciato e ti ha danneggiato profondamente. Inutile negarlo. Io lo conosco bene. Ferire la gente è quello che gli riesce meglio.

Con me lo fa spesso.

Quello che cerco è un alleato per la vendetta. E solo questo offro. Alleanza, un patto. Né fedeltà, che il tuo recalcitrante ospite non ti garantirà, poiché non sopporta di avere altri che servitori, né piaggerie, che del resto da me non sarebbero ben accette. Solo un patto, tregua per il tempo della vendetta contro l'odiato Thor. Poi nemici come prima. Pensaci ed intanto accetta un dono. - Un rapido movimento di dita e nelle sue mani c'è un lungo flauto di legno, forse nocciolo. - So che sei un estimatore di simili strumenti. -

Nyarlathotep allunga il tentacolo ad afferrare il flauto ed è solo.

 

Non molto distante, in un altro momento

- Sei qui per servirmi. Immolati in mio nome e vivrai per sempre. -

Loki compare. Non che fosse veramente invisibile alla luce. Non in questo regno in cui la luce non è mai esistita. Forse neppure davvero impercettibile. Come saperlo con un ingannatore?

- No, grazie. Sto bene così. Non sono nato per servire. Non saprei da dove cominciare. Al massimo posso proporti un'alleanza. E un dono. Pensaci. -

Svanisce, questa volta sul serio. Al suo posto una moneta d'oro.

 

Il castello dalle quattro porte. Lontano da Asgard.

Un alito di vento forte e tutto nella stanza vola.

Ermes è davanti a lui.

Loki deposita il complesso sestante che stava assemblando sopra un massiccio tavolo da lavoro.

- Ti chiederei a cosa devo il piacere della tua visita, ma non mi sembra una visita di cortesia.

Non eravamo d'accordo di non incontrarci fino alla fine del nostro gioco? -

- E di non tradirci. Ma non eravamo d'accordo su nulla. Sapevamo ciò che era necessario, non è nella nostra natura fare promesse e mantenerle.

Ciò che mi delude è che sai cosa è necessario fare. Non c'è spazio per circuire noi stessi o i nostri avversari. Non c'è spazio per giocare.

Nessuno di loro sarà mai disposto a lasciarci la libertà di portare avanti il nostro gioco.

La loro vittoria significa scegliere fra darsi fuoco per nutrire l'abitatore del buio o la follia urlante che ama l'araldo. O più probabilmente la distruzione del piano terrestre e di quelli limitrofi se si scontreranno lì per il predominio, poiché un'alleanza fra di loro non può durare, soffrono entrambi di una sindrome del dio unico troppo pronunciata.

Avrei capito se fossi fuggito.

Tremo anche io alla sola idea di chi sono i nostri nemici.

Ma non c'è spazio per alleanze con loro.-

- Non accetto giudizi sul mio operato. Credevo fosse ormai chiaro a tutti. -

Loki muove impercettibilmente due dita e una rete metallica dai filamenti affilati si chiude sul dio greco.

Ma non stringe nulla.

Nulla era mai stato in quella posizione oppure si è spostato più veloce del pensiero.

Non potremo mai saperlo, forse.

Quando il colpo iperveloce colpisce Loki, il pupazzo di porcellana va in mille frantumi.

Non c'era alcun Loki nel palazzo e nessun Loki muore nella colossale esplosione che lo distrugge.

 

Il regno oscuro

Molti pensano che quando gli dei passano da un mondo all'altro il viaggio sia facile, immediato, privo di fatiche.

La strada che ha portato il piccolo ragno nero dalle rive di un immaginario Lago Vittoria al regno buio di chi si annida nell'oscurità è stata lunga e faticosa in maniere che la transizione immediata da un luogo all'altro non può descrivere.

Nessun dio entra in questo regno impunemente.

È la forma stessa del luogo a decretarlo.

Ma il potere del piccolo ragno è grande ed egli non mostra alcuna fatica. Anzi sghignazza mentre fa il gesto di spazzar via la polvere dai pantaloni gialli.

- Intendi fermarti a lungo? Oppure deridermi come ha fatto il tuo pari asgardiano? -

- Non è mio pari. Non lo sarà mai. Io potrò anche usare il ragionamento e la razionalità per fare i miei comodi, ma non ho mai messo in pericolo il cosmo tanto per vedere che effetto fa. Loki invece ha stretto un patto con uno di voi due e una volta scoperto, invece che confutare i nostri dubbi, ha teso una trappola ad Ermes, uccidendolo.

Perché sacrificare la sua dimora se non fosse stato indifendibile.

E non è un mio pari, poiché pratica la violenza invece che la ragione e la parola. Volevo solo che lo sapessi. Ha fatto un regalo a colui che ritiene suo pari. Crede di non servirlo. Problema suo. -

Detto ciò Anansi si lascia andare e lascia che il luogo del buio lo scacci, poiché sopporta la presenza  del suo solo unico dio. Colui che vi si annida.

 

Un universo transitorio creato ad hoc e non destinato a durare.

Incontro in luogo neutrale.

È un altro nome per un atto che prepara la guerra. Raramente c'è bisogno di un luogo neutrale se non come ultima ratio. Ma qui di razionale non c'è nulla.

Uno accetta solo chi si immola in suo nome, l'altro propugna la follia universale.

Eppure sono qui.

- Hai stretto un patto con Loki? Con un burlone, un ingannatore, uno senza una direzione, per il quale anche la semplice presa del potere è più un gioco che una necessità? - Nyarlathotep è furioso.

Quasi non riesce a mantenere una forma, tentacoli e pinze continuano a spuntare e sparire lungo il suo corpo.

*Ha parlato anche con te, sento il suo lezzo in tua presenza.* Colui che si annida nell'oscurità sussurra nella mente dell'altro una specie di spirale avvolgente *E sono più che certo che il suo dono per te è stato qualcosa di più di questa...* compare una moneta d'oro che in qualche modo, quasi fosse trattenuta da un potere più grande del suo, cerca in continuazione di diventare brillante, quasi come il riflesso del sole sull'acqua.

- Un flauto di legno. Oltre che con la sua presenza razionalizzatrice, mi ha insultato con un flauto di legno. Incantato a suo dire. Quando i miei servi accompagnano il sogno del signore Azathoth con migliaia di flauti del più puro cristallo e con sopra incanti che non si sono mai visti nel cosmo umano. Una sola nota e quel piccolo dio impertinente potrebbe urlare per millenni in una sbavante follia senza rimedio. -

I due oggetti vengono lanciati a terra quasi contemporaneamente.

*Eppure il tuo disprezzo ha ben troppa enfasi rispetto all'offesa che può averti arrecato un piccolo dio. Cosa nascondi realmente Caos strisciante?*

- Nulla. O meglio, nulla più che … - dalla bocca senza denti che si apre sotto il lungo e sinuoso tentacolo che ha al posto della testa parte una potete raffica luminosa che devasta il corpo oscuro del suo ex alleato che si tramuta fin troppo facilmente in nemico. -... scarsa pazienza. -

La luce è devastante ma non appena si spegne il buio torna dominante e il corpo del suo abitatore si riforma quasi non fosse stato neppure colpito.

Lampi oscuri attraversano le volute della colossale mente mentre gli occhi gialli dell'entità quasi riempiono il mondo. Nyarlathotep è riempito dal profondo desiderio di soddisfare il suo signore assoluto immolandosi per lui. Cancellare la sua esistenza per dare potere all'abitatore del buio e così dargli gioia. Uno meno vecchio e sapiente avrebbe probabilmente ceduto a un attacco del pieno potere di Colui che si annida nell'oscurità, ma Nyarlathotep è più antico del mondo e più ampio del cosmo. Ed a conti fatti ha imparato più di un trucco nella sua lunga non vita.

Entrambi hanno misurato il potere dell'altro e sanno che questo scontro possono vincerlo. In uno o due eoni.

Per creature come queste il tempo ha poco significato ma entrambi hanno piani più urgenti.

Un'ultima mossa, risolutiva. Un potente incantesimo in cui riversano entrambi tutta la loro essenza. Hanno pensato la stessa cosa. Il mondo transitorio in cui si sono incontrati è costituito del loro potere. Metà a testa. Se banditi dal mondo saranno interdetti per sempre (non che questa espressione significhi qualcosa in realtà) dal regno dell'altro, forse ma è improbabile, anche dalla loro essenza.

In questo mondo transitorio, costruito solo del loro potere ci sono soltanto loro due e due piccoli insignificanti oggetti. Il flauto che tutto ammalia e il dorato disco solare riflesso nell'acqua.

Quando il potere di Nyarlathotep e di Colui che si annida nell'oscurità si sommano per bandire entrambi dalla realtà il successo è quasi totale.

Non basta a cancellarli dall'esistenza, è sufficiente però a cancellare la realtà transitoria, cacciare entrambi nel loro regno e allontanarli dal mondo che ha generato gli oggetti estranei che loro stessi avevano portato nel luogo del loro scontro. Il piano terrestre. Per ora, ma per ora basta.

 

Il castello dalle quattro porte. Quello vero.

Tre figure stanno attorno al tavolo esagonale. Il tavolo è diviso in caselle in egual numero bianche, rosse e nere.

I pezzi degli stessi colori si muovono da soli, rispondendo alla volontà dei loro possessori.

L'asgardiano dalle vesti verde e oro dichiara – il mio pedone mangia le vostre due regine -

Il greco con l'elmo alato ride e muove la sua regina, misteriosamente riapparsa sulla scacchiera in modo da eliminare due torri e un alfiere.

- Belle mosse ma il mio bonollo da scacco al re. -Dichiara il ragno. Questa partita potrebbe anche non finire mai...

 

 



[i]     Nella trama dei Figli della Tigre in Guardia dell'Infinito numeri 22-25

[ii]    Tentativi da parte di Sudario, come scoperto in Guardia dell’Infinito numero 26

[iii]   vedi Agents of W.H.O.(?) numero 1

[iv]   in Thor numero 25

[v]    come visto in Thor 20 e successivi

[vi]   Da La Tomba di Dracula MIT 38.